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2011 – Lo Stato contemporaneo e la sua crisi

Presentazione

Questo volume di Ars Interpretandi raccoglie il dibattito che si è tenuto in occasione del convegno “Crisi dello Stato e del principio di legalità? Lo Stato nel diritto contemporaneo” (Palermo, 6-7 maggio 2011), organizzato nell’ambito di un più ampio progetto di ricerca su “Crisi dello Stato e del principio di legalità e nuove forme di diritto e di sapere giuridico”, finanziato dall’Università di Palermo, ed il cui intento generale è quello di investigare l’evoluzione del diritto contemporaneo e i suoi effetti sul primato del diritto statale che è coessenziale alla nozione di Stato di diritto.
Più precisamente ci si chiede se il venir meno dello stato centrismo giuridico non implichi una crisi dello e nello Stato contemporaneo. La diversificazione attuale dei tradizionali rami del diritto, senza dubbio dovuta alla fine del monopolio statale del diritto, induce a sospettare che la problematica generale della crisi dello Stato si ponga in modo differente in ognuno di essi e che, quindi, la sua configurazione generale richieda un’analisi specifica dei vari ambiti del diritto per poi arrivare a una visione d’insieme. I rami del diritto qui messi sotto osservazione sono quelli della teoria giuridica, della storia del diritto, del diritto costituzionale, del diritto amministrativo, del diritto internazionale, del diritto penale e del diritto tributario. Per ognuno di essi si offre un saggio esplorativo e certamente non esaustivo.

Francesco Viola
Introduzione
pp. 7-
DOI: http://dx.doi.org/10.7382/70678

Abstract

La crisi dello Stato moderno percorre tutto il Novecento, ma forse la peculiarità di quella attuale, rileva l’A. nella presente relazione, risiede non tanto nella crisi della formula politica con cui lo Stato si è andato di volta in volta coniugando, ma piuttosto nella messa in discussione del ruolo del suo stesso apparato istituzionale e della sua centralità giuridica e amministrativa. Lo Stato è minacciato non soltanto dalla globalizzazione, ma ancor più dal valore dell’identità a sua volta attivato e causato dalla globalizzazione stessa, che implica relazioni tra diversi che non sono in grado di realizzare forme comuni di convivenza. Così lo Stato è colpito al cuore, perché esso non è costruito per le identità particolaristiche, ma per una comunanza più ampia che non ha un carattere né etnico né morale, bensì politico. A fronte dunque dello smarrimento del suo carattere politico, il problema dello Stato oggi si concentra in quello della sua rilegittimazione. E non soltanto nei confronti del diritto internazionale, ma prima ancora nei confronti del diritto interno. Poste in tal modo le basi del dibattito, l’A. introduce il convegno “Crisi dello Stato e del principio di legalità? Lo Stato nel diritto contemporaneo”, a sua volta organizzato nell’ambito di un più ampio progetto di ricerca su “Crisi dello Stato e del principio di legalità e nuove forme di diritto e di sapere giuridico”, finanziato dall’Università di Palermo, ed il cui intento generale è quello di investigare l’evoluzione del diritto contemporaneo e i suoi effetti sul primato del diritto statale che è coessenziale alla nozione di Stato di diritto. Più precisamente ci si chiede se il venir meno dello stato centrismo giuridico non implichi una crisi dello e nello Stato contemporaneo. La diversificazione attuale dei tradizionali rami del diritto, senza dubbio dovuta alla fine del monopolio statale del diritto, induce a sospettare che la problematica generale della crisi dello Stato si ponga in modo differente in ognuno di essi e che, quindi, la sua configurazione generale richieda un’analisi specifica dei vari ambiti del diritto per poi arrivare a una visione d’insieme. I rami del diritto qui messi sotto osservazione sono quelli della teoria giuridica, della storia del diritto, del diritto costituzionale, del diritto amministrativo, del diritto internazionale, del diritto penale e del diritto tributario. Per ognuno di essi si offre un saggio esplorativo e certamente non esaustivo.

Giorgio Pino
La gerarchia delle fonti del diritto. Costruzione, decostruzione, ricostruzione
pp. 19-
DOI: http://dx.doi.org/10.7382/70679

Abstract

Sommario: 1. Introduzione. 2. “Fonti del diritto”. 2.1. Questioni di metodo. 2.2. Per una definizione di fonte del diritto. 3. La costruzione gerarchica delle fonti del diritto. 3.1. Sul concetto di gerarchia normativa. 3.1.1. Gerarchie strutturali. 3.1.2. Gerarchie materiali. 3.1.3. Gerarchie assiologiche. 3.2. Gerarchie normative e fonti del diritto. 4. Fonti del diritto e interpretazione. 4.1. Cinque pezzi facili. 4.1.1. Individuazione di un tipo di atto come fonte. 4.1.2. L’abrogazione tacita. 4.1.3. Graduazione del valore precettivo di un testo giuridico. 4.1.4. Conservazione degli atti normativi. 4.1.5. Introduzione di una gerarchia assiologica tra norme pari-ordinate in senso materiale. 4.2. Cinque pezzi meno facili. 4.2.1. Fonti obbligatorie e fonti permissive. 4.2.2. Introduzione di gerarchie materiali in via interpretativa. 4.2.3. Azzeramento del valore precettivo di un testo giuridico. 4.2.4. Sovrapposizione di una gerarchia assiologica a una gerarchia materiale di segno inverso. 4.2.5. Uso di fonti estranee all’ordinamento. 5. In conclusione.

Ferdinando Mazzarella
La semplicità immaginaria. Apogeo e crisi dello Stato liberale di diritto
pp. 57-
DOI: http://dx.doi.org/10.7382/70680

Abstract

Sommario: 1. Una semplificazione “rivoluzionaria”. 2. Dalla Costituzione allo Stato. 3. Monismo statualistico e “unità del popolo”. 4. Dimensione organizzativa e tendenze associative. 5. Aperture e incrinature della teoria giuridica dello Stato. 6. Comunitarismo e solidarietà, istituzionalismo e socialità. 7. Complessità sociale e pluralismo ordinamentale nella teoria di Santi Romano. 8. Il richiamo dell’unità fra diritto, ideologia e politica.

Maurizio Fioravanti
La crisi dello Stato liberale di diritto
pp. 81-
DOI: http://dx.doi.org/10.7382/70681

Abstract

Nella presente relazione l’A., dopo aver fornito una definizione di “Stato liberale di diritto” – intendendo con esso la forma di Stato dominante in Europa in età post-rivoluzionaria -, ne ripercorre le origini, la storia e il declino, soffermandosi sull’evoluzione del concetto di Costituzione materiale posto alla sua base. Dalla prima matrice di stampo rivoluzionario lo Stato liberale di diritto approderà al positivismo giuridico di Savigny. Alla base del diritto positivo statale si troverà, dunque, un ordine giuridico di tipo oggettivo, storicamente fondato, che viene rappresentato come “Costituzione”. Tale costruzione diverrà l’orizzonte della scienza giuridica europea fino alle grandi trasformazioni del Novecento, fino a quando cioè inizierà a mostrare segni di cedimento: la “Costituzione” di Savigny, intesa come diritto positivo di una comunità storicamente fondata, diverrà infatti sempre più improbabile, a fronte degli imponenti mutamenti che interesseranno l’Europa tra Otto e Novecento ed in cui si registrerà, rileva l’A., l’emersione di un significato della Costituzione in senso materiale come “vera” Costituzione, capace di garantire il “diritto”, contro la Costituzione in senso formale, spesso preda – come nel caso di Weimar – del distruttivo predominio dei partiti e degli interessi frazionali, e quindi non più “Costituzione” in senso proprio, non più norma fondamentale condivisa. Il Novecento sembra così disperdere l’eredità ottocentesca della Costituzione in senso materiale, e con essa anche lo Stato liberale di diritto. Quest’ultimo sembra perdere la sua base. Al posto del popolo, o della nazione, emerge la società con tutto il suo carico di conflitti. Quello che nel modello precedente era il luogo in cui concretamente viveva il diritto positivo della comunità veniva ora negato, come nel caso di Kelsen, o ripreso in senso polemico, come nel caso di Schmitt. Si poneva dunque la necessità di riprendere l’idea stessa del “fondamento”, ma in modo compatibile con la configurazione complessiva delle democrazie del Novecento, nella forma che esse vennero assumendo attraverso il grande travaglio della prima metà del secolo, una volta esauriti i regimi totalitari. Ad avviso dell’A., il più efficace tentativo di mediazione, e di sintesi, fu quello di Costantino Mortati che, con il suo celebre saggio, del 1940, dedicato a La Costituzione in senso materiale affermerà il carattere pienamente giuridico della Costituzione in senso materiale.

Gaetano Silvestri
Stato di diritto e principio di legalità costituzionale
pp. 95-
DOI: http://dx.doi.org/10.7382/70682

Abstract

Nel presente contributo l’A. ripercorre l’evoluzione in senso pluralista dello Stato costituzionale contemporaneo, sottolineando come il tentativo di conciliare Stato di diritto e pluralismo sociale sia passato attraverso l’inserimento nel livello di macrolegalità costituzionale di una costellazione di principi sostanziali, legati alle rivendicazioni di libertà, ma anche ai bisogni dei cittadini e formulati in modo tale da lasciare – con espressioni indeterminate, ma significative – aperta la porta al fluire della storia. La funzione dei principi sostanziali contenuti nelle Costituzioni del secondo dopoguerra è stata, ed è tuttora, quella di imprimere una spinta dinamica incessante a tutto l’ordinamento, imponendosi parimenti nella sfera della legislazione, dell’amministrazione e della giurisdizione. La differenza tra principio di legalità costituzionale e principio di legalità del tradizionale Stato di diritto consiste dunque nel diverso ruolo della Costituzione pluralistica rispetto a quello del costituzionalismo classico. Se quest’ultimo era una tecnica di limitazione del potere dell’apparato autoritario dello Stato, il primo è contrassegnato dal potere-dovere di attuare la Costituzione, che incombe su chiunque eserciti una funzione in grado di incidere su interessi pubblici, collettivi o anche soltanto di gruppo dei cittadini. La legalità non è più limite esterno, posto a garanzia di spazi negativi di libertà, ma compenetrazione necessaria tra ogni atto funzionale e principi costituzionali.

Guido Corso
Persistenza dello Stato e trasformazioni del diritto
pp. 107-
DOI: http://dx.doi.org/10.7382/70683

Abstract

Il tema della crisi del diritto e, più specificamente, della crisi della legalità è di solito legato al tema della crisi dello Stato. Se lo Stato è il maggior produttore di diritto, la crisi dello Stato è crisi del diritto. E lo Stato è in crisi, secondo un’opinione diffusa, perché lo spazio da esso occupato è insidiato dall’alto – le organizzazioni sovranazionali, le istituzioni della globalizzazione, la lex mercatoria – e dal basso – le autonomie regionali e locali, i gruppi sociali -: e di conseguenza, il monopolio del diritto, che caratterizza lo Stato moderno, viene messo sempre più spesso in discussione. Tuttavia, secondo l’A., lo Stato non muore e non cessa di produrre diritto. Non è più il solo produttore del diritto, ma continua a produrlo. Tutti i paesi, l’Italia in primo luogo, conoscono il fenomeno dell’inflazione legislativa, sebbene molti ambiti, non solo in Italia, siano sottratti alla potestà legislativa dello Stato. L’A. ne esamina le cause affermando che, sotto il profilo quantitativo, la produzione legislativa sia enormemente aumentata sia a causa della pluralità delle fonti (Stato, Regioni, enti locali, autonomie sociali, autonomia privata, diritto internazionale, diritto dell’Unione Europea ecc.) sia perché il numero delle leggi statali si è moltiplicato per il rango costituzionale conferito a una serie di diritti, per la dinamica dei diritti sociali e la scissione tra soggetto obbligato e soggetto tenuto a pagare il costo dei diritti, per l’enormità degli input immessi nel processo legislativo dai gruppi sociali. Sotto il profilo qualitativo, invece, l’A. si sofferma su una soltanto delle tante trasformazioni intervenute nella qualità e nel contenuto del diritto: la trasformazione indotta nel nostro sistema giuridico, e oggi nei sistemi giuridici della maggior parte dei paesi europei, dal diritto dell’Unione Europea, e in particolare da quella sezione del diritto europeo che corrisponde alla Costituzione economica europea. L’A., affrontando il tema dell’incidenza del diritto europeo sul diritto interno degli Stati, giunge alla conclusione che lo Stato non sia in crisi, ma al più sia investito da un processo di trasformazione che tocca i contenuti della sua azione. Ciò, tuttavia, non esclude che possa comunque parlarsi di una crisi della legalità e l’A. individua la manifestazione più evidente di tale crisi nell’eccesso di regole che mina la certezza giuridica, strettamente legata al principio di legalità.

Antonello Tancredi
Lo Stato nel diritto internazionale tra effettività e legalità/legittimità
pp. 131-
DOI: http://dx.doi.org/10.7382/70684

Abstract

Sommario: 1. Posizione del problema e piano dell’indagine: la presunta crisi dell’effettività e la necessità di un suo superamento in favore di criteri di legalità/legittimità. 2. L’incidenza di criteri di legalità internazionale sulla formazione degli Stati. 2.1. Di cosa parliamo quando parliamo di effettività? 2.2. La critica dell’effettività come criterio necessario e/o sufficiente della statualità: il fondamento teorico delle tesi “antirealiste”. 2.3. Il fondamento pratico delle tesi “antirealiste”: effettività senza statualità e statualità senza effettività. 2.4. L’incidenza negativa di criteri di legalità sulla statualità. 2.5. L’incidenza positiva di criteri di legalità sulla statualità: il diritto alla secessione-rimedio. 2.6. Critica delle ragioni teoriche retrostanti le tesi “antirealiste”: lo Stato come persona reale e il duplice fondamento dell’effettività. 2.7. Critica delle ragioni pratiche: ultimate success e finzioni giuridiche. 2.8. La legalità non sostituisce l’effettività: il nato illegittimo non è inesistente né de facto né de jure. 2.9. La legittimità non diviene legalità e non sostituisce l’effettività: il problema della secessione-rimedio. 3. L’incidenza di criteri di legalità/legittimità sulla rappresentanza internazionale dello Stato. 3.1. Riepilogo dei risultati raggiunti. Il controllo effettivo come tradizionale fondamento della rappresentanza internazionale dello Stato. 3.2. Il ruolo della legittimazione democratica nella definizione della rappresentanza dopo la fine della guerra fredda. 3.3. Il perdurante rilievo dell’effettività e le sue ragioni. 3.4. La pretesa incidenza della (il)legittimità sulla legalità: capitis deminutio e Paria-Staaten. Una critica. 4. Conclusioni: il diritto internazionale in mezzo al guado tra diversi modelli di legittimità?

Luigi Condorelli
Crisi dello Stato e diritto internazionale: simul stabunt simul cadent?
pp. 173-
DOI: http://dx.doi.org/10.7382/70685

Abstract

Nella presente relazione l’A. svolge qualche osservazione critica relativa al diritto internazionale e all’evoluzione del suo ruolo, visto in collegamento con il tema della “crisi dello Stato”. In estrema sintesi, lo Stato è in crisi – si osserva nell’ambito del Convegno di Palermo – anche perché sta subendo una vera e propria espropriazione delle principali prerogative e funzioni che lo connotavano, e ciò a beneficio di enti e organizzazioni internazionali, da una parte, e del mondo degli affari, dall’altra. Riguardo a quest’ultimo si sottolinea poi, in particolare, che esso sfugge sempre di più alla presa del diritto di marca “statocentrica” – tanto nazionale che internazionale – e finisce per svolgersi sotto l’esclusivo imperio delle regole che si dà da sé: un diritto privato fatto dai privati, nella logica delle leges mercatoriae (e dintorni). Sono, quelli appena evocati, fenomeni e tendenze correntemente notati, il cui spessore appare innegabile. Tuttavia, secondo l’A., non basta rilevarne gli aspetti più appariscenti, e magari esteriori, ma occorre cercare di scrutarne a fondo il senso guardando – per così dire – sotto la superficie. L’A., dopo aver così raggruppato le sue osservazioni intorno ai due poli dell’evoluzione del diritto internazionale e dell’autonomia del potere economico privato come concause della crisi dello Stato, giunge alla conclusione che, se è facile parlare di crisi dello Stato nel contesto attuale della globalizzazione, meno facile è constatare che assistiamo piuttosto, in realtà, alla crisi di un certo modello di Stato e che, per affrontare le grandi sfide sociali di oggi, lo Stato è sempre necessario, anzi è di più Stato che c’è bisogno.

Vincenzo Militello
Crimini internazionali e principi del diritto penale
pp. 183-
DOI: http://dx.doi.org/10.7382/70686

Abstract

Nella nuova “sfera di giustizia” che ruota intorno al diritto penale internazionale, il rapporto fra le rispettive incriminazioni e i principi del diritto penale segna un punto cruciale nella ricerca del difficile equilibrio fra garanzie fondamentali e tutela dei beni primari in gioco. Con lo Statuto di Roma tale rapporto, rileva l’A. nel presente contributo, assume un profilo più definito e vincolante, in quanto formalizzato a livello normativo tanto per l’ambito delle offese coinvolte, quanto per i possibili contenuti delle garanzie rilevanti in materia. E infatti oggi la relazione si pone fra i core crimes del genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra e i “principi generali di diritto penale”, analiticamente regolati nella distinta parte terza dello Statuto. I relativi contenuti si avvicinano non tanto alle precedenti fonti internazionali, quanto piuttosto a quelli delle tradizionali parti generali dei principali sistemi penali contemporanei. Nel contesto poi di una riflessione sui caratteri attuali dell’invero risalente fenomeno di “crisi” dello Stato, non si può trascurare che quei principi penalistici hanno trovato il loro consolidamento in seno al diritto penale come espressione dello Stato: il loro riconoscimento nello Statuto della Corte penale internazionale segna allora una sorta di rivincita dell’idea di statualità della potestà punitiva proprio nel testo-simbolo di quel processo di internazionalizzazione dello stesso diritto penale, che in tale settore è una delle espressioni e dei fattori più evidenti rispetto alla crisi della sovranità statuale. L’A. mette dunque a fuoco le scelte dello Statuto in tema di condotte illecite attraverso la lente d’ingrandimento dei principi di diritto penale, ed in particolare dei principi di personalità della responsabilità penale, di colpevolezza, di legalità e di offensività. Tali regole, evidenzia l’A. a seguito della sua analisi, toccano punti cruciali della parte generale del diritto penale internazionale, ma sono lungi dallo svilupparla a livelli di precisione paragonabili a quelle dei sistemi penali nazionali. Lo sforzo di individuare principi generali comuni ai due ambiti – per un verso internazionale, per altro penale – serve dunque a contrastare il rischio che uno di essi si sviluppi senza considerare l’altro e perda così il delicato equilibrio tra fondamento e limite della responsabilità penale.

José A. Rozas Valdés
Crisi e trasformazione fiscale dello Stato spagnolo
pp. 203-
DOI: http://dx.doi.org/10.7382/70687

Abstract

Sommario: 1. Introduzione. 2. Dal sistema unitario al modello attualmente in vigore. 3. Il sistema del 2002 e la riforma del 2009. 3.1. Principi e norme. 3.2. Fisco generale. 3.3. Fisco delle Autonomie. 3.4. La struttura organica del sistema. 3.5. L’eccezione forale. 4. Disfunzioni, tensioni e criticità del sistema. 4.1. Il tetto di spesa. 4.2. L’imposta sulle successioni e le donazioni: un esempio paradigmatico. 4.3. La lealtà istituzionale. 5. Conclusioni e prospettive.
2007-2011, 2011, Indici
2011 – Ermeneutica e Pluralismo
2012/1 – Ermeneutica e pluralismo

Ars Interpretandi | ISSN: 1722-8352 |redazione@arsinterpretandi.it
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